L'amore che non ho fatto in tempo a dirgli

In una notte di marzo 2014, Giuseppe, 21 anni, il primo di tre figli, apre la finestra della camera all'ottavo piano dell'appartamento in cui vive a Milano con la famiglia, e si lancia nel vuoto.
Lascia una lettera, pubblicata nel libro, in cui si legge: "ho sempre odiato il mio lato maschile, mi sento più femmina da sempre". Ed è proprio da questa lettera che il padre, partendo a ritroso dalla notte maledetta, scrive il racconto della breve vita del figlio.
Pagina dopo pagina, si compone la storia di un hikikomori (isolamento mortale) che sfocerà in un transessualismo mancato, di fronte al quale il padre e la madre, benché costantemente presenti e dediti alla famiglia, sono disarmati e non sanno come comportarsi.
Le cronache si alternano ai sensi di colpa e alle emozioni dell'autore, sempre spontaneo e diretto, che ha difficoltà a capire e a dire dove ha sbagliato con questo figlio.
Due le colonne portanti dunque: l'identità di genere indefinita e l'hikikomori. La difficoltà dei genitori con Giuseppe è comunque il filo rosso attorno cui si snoda tutto il racconto. Opera anche per i nonni, visto il rapporto che Giuseppe aveva con quella materna e teneramente narrato.

Marco Termenana è uno pseudonimo, derivato dal nome di battesimo unito all'anagramma del cognome, usato per motivi di privacy, visto il tema trattato e reso ancora più rovente dalla forte opposizione degli altri due figli e della moglie, a raccontare la storia di Giuseppe.
Nato a Venezia il 28 settembre 1958, appartiene a una famiglia meridionale.
Infatti, è cresciuto a Salerno. Qui, nel 1976, ha iniziato l'attività giornalistica e letteraria (Primo Classificato per la narrativa inedita al Concorso "Ortensio Cavallo", 1977). Dal 1980 è iscritto all'Ordine dei Giornalisti.
Nel 1982 si è laureato in Scienze Politiche sempre a Salerno. Nello stesso anno si è trasferito a Milano, dove ha cominciato a lavorare come free-lance. Attualmente è dirigente presso un'importante azienda italiana.
La passione per il racconto scritto, accantonata da quasi 26 anni, all'enorme dolore per la perdita di Giuseppe, il primo dei 3 figli scomparso suicida all'età di 21 anni, riappare con decisione nella sua vita, generando un meccanismo psicologico compensativo che gli consente di andare avanti e trovare la forza per rialzarsi ("è la mia morfina" scrive già nelle prime pagine).
Con "Mio figlio" questo padre riesce a ridare senso alla sua esistenza e a "resuscitare" il figlio almeno in spirito: scritto con l'unico obiettivo di ritrovarne la compagnia, alla fine, di fatto, diventa un esempio di come non perdersi in circostanze così drammatiche, oltre che una testimonianza sulle difficoltà a svolgere il ruolo di genitore con figli difficili dove lo sforzo di comunicare è considerevole.
Bella prova di resilienza e di amore paterno che non si ferma neanche di fronte alla Morte, anzi la sbeffeggia.